Premio Rodolfo Pucci “La Fibula d’oro” Anno 2007
PERCHE’ ULIANO LUCAS
Testimone delle trasformazioni sociali degli ultimi 40 anni, Uliano Lucas ha fatto del fotogiornalismo, uno strumento di impegno civile, la sua fotografia affonda le radici nell’indignazione per i soprusi e le disuguaglianze sociali e nella consapevolezza dell’importanza del giornalismo come strumento democratico d’informazione, unendo però alla durezza della denuncia una partecipe attenzione verso l’umanità delle persone ritratte, verso le storie personali di sofferenza, di lotta o semplicemente di vita e di affetti dei singoli.
Nato a Milano nel 1942 da una famiglia operaia, Uliano Lucas cresce nel clima di ricostruzione civile e intellettuale che anima il capoluogo lombardo nel dopoguerra. I primi anni lo vedono fotografare le atmosfere ancora popolari della sua città, la vita e i volti degli scrittori e pittori suoi amici. Poi arriva il coinvolgimento nelle riflessioni politiche sollecitate dalla nuova Italia degli anni ’60 e l’impegno in una lunga campagna di documentazione sui processi storici protagonisti del dibattito culturale del tempo: l’immigrazione in Italia e all’estero, la distruzione del territorio legata all’industrializzazione, il movimento studentesco e antiautoritario che attraversa l’Europa e l’Italia con le proteste di piazza degli anni ’68-’75, il movimento dei capitani in Portogallo e le guerre di liberazione in Angola, Eritrea, Guinea Bissau. Colto e visionario, lavora in quel giornalismo fatto di comuni passioni, forti amicizie e grandi slanci che negli anni ’60 e ’70 tenta di opporre una stampa d’inchiesta civile all’informazione consueta del tempo, poco attenta ad una valorizzazione della fotografia e imperniata sulle notizie di cronaca rosa e attualità politica. Colto e visionario, lavora in quel giornalismo fatto di comuni passioni, forti amicizie e grandi slanci che negli anni ’60 e ’70 tenta di opporre una stampa d’inchiesta civile all’informazione consueta del tempo, poco attenta ad una valorizzazione della fotografia e imperniata sulle notizie di cronaca rosa e attualità politica. Alterna a servizi sull’attualità del momento e sul mondo dell’arte e della cultura, di cui è sempre stato osservatore attento, reportage, spesso sfociati in libri, su temi che segue lungo i decenni, dalle trasformazioni del mondo del lavoro, in cui individua un angolo di visuale privilegiato per comprendere lo stato del paese, alla questione psichiatrica, che affronta documentando il lento passaggio dalla condizione manicomiale degli anni ’70 alla riconquista di una libertà e normalità di vita da parte dei pazienti negli anni ’80 e ’90. Dal 1989 al 1995 è coinvolto da Guido Vergani e Paolo Mereghetti nelle inchieste sulla Grande Milano delle pagine cittadine di Repubblica. Interprete sottile oltre che testimone puntuale di oltre trent’anni di storia, pubblica quindi su questo giornale molti di quegli scatti realizzati in una quotidiana ricognizione sul territorio che offrono per gli anni ’80 e ’90 e per il nuovo millennio, come era stato per i ’60 e ’70, una racconto a tutto tondo sulla società italiana, riflettendone anche in un nuovo stile i radicali cambiamenti di mentalità e di costume, e realizza reportage sulle architetture e gli spazi di Milano e del suo infinito hinterland che si inseriscono in un lavoro mai interrotto sul cambiamento del territorio come specchio delle trasformazioni nell’economia e nel tessuto socio-culturale che Lucas conduce fin dagli anni ’60 in tutta Italia e che rinnova l’impegno di conoscenza e analisi e la capacità narrativa ed evocativa che lo hanno da sempre contraddistinto.
Uliano Lucas “Lavoro, lavori”
Avremmo voluto aprire questo breve testo con un omaggio a Piero Ciampi, intitolare magari la mostra come quella vecchia canzone in cui con la sua voce melanconica l’artista incalzava: “andare camminare lavorare, andare a spada tratta, banda di timidi, di incoscienti, di indebitati, di disperati. Niente scoramenti, andiamo a lavorare, … il vino contro il petrolio, grande vittoria, grande vittoria, grandissima vittoria. Andare camminare lavorare, in meridione luce, il nord non ha salite, niente paura, di qua c’è la discesa, andare camminare lavorare, rapide fughe rapide fughe rapide fughe…”. Ma non sono proprio queste del disincanto e di un amaro sarcasmo le corde toccate da Uliano Lucas nel suo lungo racconto sul mondo del lavoro.
Lucas segue per oltre trent’anni l’evolversi dei modi del lavorare, in Italia, ma anche all’estero. Da intellettuale autodidatta formatosi su una storiografia e critica marxiane quale egli è, sceglie questa realtà come angolo di visuale privilegiato per comprendere il paese, la sua economia, la sua storia, il grado della sua civiltà o la misura dell’inciviltà. Entra negli anni ’70 nelle piccole fabbriche della Brianza, espressione di quella industria familiare che ha saputo dare prove di intrepida efficienza come di profonda meschinità, fotografa il lavoro sommerso nelle case della provincia friulana come di quella marchigiana e veneta, viaggia nel Sud e documenta un altro precariato che si svolge questa volta per le strade, nel lavoro dei venditori ambulanti, di posteggiatori e suonatori di organetto, di minori dal fare ormai di adulti. E poi, proprio mentre ne interpreta gli scioperi e le lotte sindacali, fotografa gli operai nelle grandi fabbriche, alle catene di montaggio della Fiat o della Olivetti, nelle industrie della Svizzera meta di tanti emigranti, nelle atmosfere fumose delle fonderie dell’Italsider di Taranto, fra i possenti macchinari dell’industria pesante. Via via registrerà poi nei suoi scatti le trasformazioni e i ritardi, le deficienze strutturali e i balzi in avanti del paese: le realtà di un’agricoltura che per quanto sempre più marginale nell’insieme della nostra economia e cultura, rimane tratto caratterizzante e identitario di tante zone d’Italia, il sistema dei nuovi distretti industriali, dal comprensorio della ceramica di Sassuolo a quello del tessile in Valvibrata, la fatica dei manovali di un’edilizia che in quarant’anni anni ha cambiato il volto del paese, e ancora i nuovi mestieri sorti insieme ad essa e poi l’alta tecnologia che si impone come scommessa sul futuro in aziende la cui innovazione sembra viaggiare anni luce più avanti delle condizioni complessive del territorio e dei suoi abitanti. Sarà così in Veneto negli anni ’80, dove strappa a recalcitranti imprenditori il permesso d’accedere a quelle fabbrichette di confezioni diffuse sul territorio che avrebbero fatto la fortuna del Nord Est (Operai e scelte politiche, ma anche Veneto: La rinascita), e poi nei primi anni ‘90 a Genova, dove documenta la dismissione industriale nel Ponente, con i molteplici problemi sociali che comporta (Vivere a Ponente), e le nuove realtà del lavoro che iniziano a delinearsi agli albori di un decennio che ha già in sé tutta la carica trasformativa simbolicamente racchiusa nel nuovo millennio, con il moltiplicarsi e confondersi dei mestieri, lo specializzarsi delle professionalità, il mutare repentino della cultura stessa del lavoro in Italia, come testimonia quel reportage durato mesi Lavoro, lavori a Genova che marca l’inizio di una nuova fase nella storia del lavoro e nella sua rappresentazione; quella poi ripresa negli ultimi anni in reportage spesso destinati a monografie critiche progettate insieme a sindacalisti, storici ed economisti, da Lavoro/Lavori. Attività, impiego, mestiere, professione al più recente Donne di questo mondo, in cui per una volta senza retorica, si mostrano i frutti di trent’anni di lotta per l’emancipazione femminile con una nuova raffigurazione della donna e della sua conquistata identità e vitalità nella vita come nei tanti lavori che finalmente svolge[1].
Ma quello a cui il fotografo dà vita con queste migliaia di scatti non è solo un inestimabile compendio di ambienti, fogge, gesti, strutture organizzative ed economiche, memoria storica per i più giovani e pingue messe di dati per le ricerche degli studiosi, bensì un racconto d’autore, poetico e politico al contempo, sul lavoro come categoria dell’esistenza, sulla fatica e la dignità, la dedizione e l’alienazione, la socialità e la consapevolezza. Le sue foto diventano così, riguardate e ripensate con la distanza del tempo, anche e soprattutto foto di occhi assorti, di mani esperte, storie di uomini e donne e di un impegno che si rinnova sempre uguale nel tempo. Rivelano quello sguardo sempre umanamente partecipe, sempre solidale, che contraddistingue tutti i suoi scatti, e insieme esprimono una precisa posizione culturale ed esistenziale. Quella saldamente radicata in una cultura e storia del Novecento che vede nel lavoro, lo dicevamo prima, l’indice della maturità di un paese, ma anche il luogo del riscatto e dell’emancipazione, dell’affermazione di sé e delle presa di coscienza dei propri diritti, più ancora o piuttosto che, come spesso accade, dell’umiliazione e dello sfruttamento, o della mercificazione di sé; sì che queste immagini appaiono non già come scatti di denuncia, ma come strumenti per una presa di coscienza. E’ il mito della classe operaia e della grande fabbrica, cantato per una volta senza scadimenti nell’ideologia, in un tono riflessivo che non perde per questo il suo mordente, un mito che ritroviamo anche nell’attenzione che Lucas riserva alla macchina, con lo scintillio dei metalli, le geometrie degli ingranaggi, esaltate dalla maestria dell’inquadratura, e l’uomo che si confronta con essa: la macchina che parla con tutto il suo peso e la sua storia attraverso lo strumento affine dell’apparecchio di ripresa, come nelle foto dell’America industriale di Lewis Hine, Andreas Feininger, Margaret Bourke-White, e che diventa oggi tecnologia, intreccio di fili materiali e immateriali che intessono la rete della società postmoderna e che vengono altrettanto abilmente interpretati dalla fotografia di questo autore.
Cultura marxiana, dunque, ma anche, forse contraddittoriamente, cultura liberal-democratica che affonda le sue radici nella svolta illuminista, che crede nel progresso, nella scienza, nell’umana intelligenza. E li vede concretizzarsi nella serietà e nelle garanzie di rispetto e tutela che caratterizzano oggi molte condizioni lavorative, nella potenzialità di energie che l’uomo e il territorio possono dispiegare nel nuovo contesto di una società post-industriale e positivamente globale, negli uomini e nelle donne che sembrano vivere il lavoro con una nuova consapevolezza dei propri diritti e del proprio impegno, a dispetto delle tante situazioni che ancora vedono questi diritti e questo impegno negati e vilipesi. Quella che Lucas racconta è la storia di una società che crede di poter conquistare nel lavoro come nella vita, anche e soprattutto attraverso lo sguardo critico su quanto vi è ancora da fare, una nuova dignità. Speriamo che la storia, quella reale, non lo smentisca.
Tatiana Agliani
1 – Oltre ai citati Operai e scelte politiche, a cura di Fausto Anderlini e Cesco Chinello, Franco Angeli, Milano, 1986; Vivere a Ponente, Vangelista, Milano, 1989; Veneto: La rinascita, Regione Veneto – Edizione Fotogramma, Roma, 1989; Lavoro, lavori a Genova, Petruzzi, Città di Castello, 1994; Lavoro/Lavori, Il filo di Arianna, Bergamo, 1999; Donne di questo mondo, Diabasis, Reggio Emilia, 2003, ricordiamo fra i volumi di Uliano Lucas che affrontano le realtà del lavoro Abruzzo Abruzzi, Fotogramma, Roma, 1986 eLe buone pratiche, Radionotizie, Torino, 1998. Un quadro generale della sua attività è invece offerto dal sito http://www.ulianolucas.it/ e dal recente volume antologico La vita e nient’altro, Edizioni Les Cultures, Savigliano, 2004.