“VILLA” -Bethlehem Psychiatric Hospital (Palestinian Territory) 2008 – Questo lavoro è parte di un progetto più ampio e articolato sulla condizione di salute mentale della popolazione palestinese nella West Bank e Striscia di Gaza, che mi ha visto lavorare in Israele/Territori Palestinesi per oltre un anno. Il presente portfolio è stato realizzato nell’Ospedale Psichiatrico di Betlemme (2008) e riguarda unicamente il dipartimento malati cronici, chiamato Villa che ospita 40 persone.
L’OMS e il Ministero della Salute Palestinese stanno lavorando per cambiare radicalmente le politiche in tema di salute mentale. Queste comprendono la futura chiusura dell’Ospedale, cercando nel contempo diincrementare progetti di cura individuali e di “presa in carico” realizzati in un regime di rete promuovendo il protagonismo di utenti e familiari per contrastare ogni pratica di tipo coercitivo e qualsivoglia forma di discriminazione e, contestualmente, rendere operativi sia programmi di prevenzione che di lotta allo stigma.
HEBRON H2 – Questo lavoro è parte del progetto riguardante lo stato di salute mentale della popolazione palestinese che vive nella West Bank e nella striscia di Gaza. Il progetto è stato realizzato per la ONG spagnolaMedicos del Mundo ( Marzo-Giugno 2008).Hebron, che si trova nella parte sud della West Bank custodisce la tomba dei patriarchi luogo sacro per musulmani ed ebrei.La città è divisa in due settori: H1 sotto il controllo della dell’autorità palestinese ed H2, un area di 4,3 km quadrati sotto il controllo delle autorità israeliane.Questa zona include la città vecchia dove 500 coloni ebrei vivono “blindati” all’interno di 4 insediamenti. Ad Hebron ci sono circa 2000 militari israeliani.Oggi più del 60% della comunità palestinese ha abbandonato la città vecchia a seguito dell’occupazione militare.
Alcune delle persone fotografate in questo lavoro sono state esposte ad una serie di eventi traumatici, quali il carcere, la tortura, l’ occupazione/demolizione di case,chiusura attività commerciali e limitazione quotidiana dei movimenti (check point; block road). La occupazione/demolizione delle case, usata come punizione collettiva da parte dell’esercito israeliano, hanno un enorme impatto psicologico. La casa non è solo un rifugio, ma il cuore della vita familiare.Perdere la casa è più di un disastro fisico, perchè evoca tutte le esperienze traumatiche connesse con l’essere un rifugiato.
“Il ‘Mondo’ e la fotografia – Il fondo Pannunzio”
La mostra propone una ragionata selezione delle immagini pubblicate dalla prestigiosa testata nei suoi diciotto anni di vita (1949-1966), attraverso la quale vengono fornite al visitatore le coordinate per una autonoma e approfondita riflessione sulla società del tempo. In questo caso non è però il reportage inteso dal punto di vista tradizionale, ma piuttosto il potenziale narrativo della singola immagine a richiamare l’attenzione sui temi, sugli argomenti e sui dibattiti dell’epoca. Alcuni originali della prestigiosa testata, che costituiscono una sezione della mostra, consentono inoltre di entrare nel vivo della singolare esperienza anche attraverso i criteri di impaginazione e i trattamenti dei quali le immagini furono oggetto.
“Elisa fashion district” di Paola Fiorini – Vincitore PORTFOLIO ITALIA 2009
Cosa ha portato Paola Fiorini ad entrare nel negozio, per sole signore, di Elisa la parrucchiera? Abitando a Verona nello stesso quartiere tante volte è passata guardando curiosa quella porta a vetri, con l’insegna dalle lettere adesive usurate, sino al giorno in cui ha sentito l’urgenza di affacciarsi e chiederle: – buongiorno, può farmi i capelli?- e sentirsi rispondere – certo cara… ai tuoi capelli lunghi possiamo anche fare una svedese!-.
La svedese è una tecnica ormai di vecchia scuola e nel negozio gran parte degli arredi appaiono d’altri tempi, ma i fiori con un bel ramo di mimosa, della “Festa della donna”, riportano al presente. L’affare è fatto… e si fa la svedese, con i suoi 45 minuti sotto il casco ad asciugare i capelli con i bigodini.
Per un anno periodicamente l’autrice ha frequentato il negozio d’Elisa, ne è diventata una giovane cliente. Da sotto il casco, cullata nel suo calore materno e dal ronzio della ventilazione, quel piccolo mondo si è aperto a suoi occhi, e al suo obiettivo, senza riserve, mostrandole l’ampiezza dei sinceri rapporti umani che lo animano. La musica della radio, i profumi dei cosmetici, le lunghe chiacchiere dialettali, popolaresche o confidenziali, tra Elisa e le sue clienti, celebrano lo stile di una vita sociale attenta e consolatrice.
Per le donne anziane il momento della parrucchiera è quello del conforto, assicurato dai tempi lunghi della ritualità del servizio: l’attesa, il lavaggio dei capelli, il taglio, la messa in piega, il casco, ecc… . Ore che per loro scandiscono un processo di ricostruzione nel morale. Sono donne vere che vivono a occhi aperti, senza anestesie, alimentandosi del ricordo e vivendo il sentimento della nostalgia di chi non c’è più.
Ora Paola capisce che ad attirarla in questo luogo, è stata la forza morale di queste d0nne, Elisa innanzi a tutte, che affrontano la vita anziana con dignità e coraggio. Ecco il senso del portacenere zebrato che è simbolo stimolante della modernità che appare loro come un mito per altre generazioni, mentre il senso della fine della vita viene esorcizzato dalla vivace vita di relazione. Ecco perché è lì, quella donna tanto anziana che chiusa nel suo austero cappotto, aspetta, anche lei vuole piacersi per piacere. Silvano Bicocchi
“Agorà” di Maurizio Chelucci di Cerveteri
Se la città è una creatura dell’uomo allora la sua rappresentazione fotografica dovrebbe evidenziarne le emozioni che vi abitano (oppure le sue disgraziate assenze) e raccoglierle là dove esse si manifestano. Occorre ripensare la città come un luogo dove potere essere felici e così contrastare la visione del caos e della fatica del vivere quotidiano. Si tratta di impegnare le comuni energie visive per attraversare e reinterpretare la mappa degli spazi urbani e “liberarli” affinché il cittadino possa viverli in un tempo non solo produttivo ma, anche, in un tempo dove emozioni e ricchezza di idee possano divenire strumenti di nuova convivenza. Un invito, quindi, a riprenderci il senso dei luoghi dell’abitare e del camminare eticamente, andando oltre il semplice spostamento e l’ansia del rifugio; un’esortazione a vivere, dentro ed attraverso, il senso delle polis e delle agorà. Il gesto del fotografo, qui sospeso tra la necessità di congiungere queste istanze con la storia della realtà osservata e quella di ampliare gli spazi medesimi della riflessione (peraltro, egregiamente risolta e compiuta nella scelta del formato panoramico e nell’uso dello stitching), testimonia del prezioso legame, il “planus”, tra pietre e colori, emozioni e proporzioni, che non pretende di essere percepito e riconosciuto una volta e per sempre ma vuole “aprirsi” come spazio esistenziale da penetrare in consonanza, in compassione, anche perché, ormai, e ne siamo consapevoli, in queste agorà ci andiamo specchiando tutti. Questo atteggiamento affiora tra le città del mondo laddove la fotografia rende visibile l’invisibilità in cui proprio le città sono tentate di immergersi, sicché l’occhio fotografico denuncia il sofferto “starci dentro” e propone il riconoscimento di essere noi per primi parti delle stesse. Ed in tale prospettiva la sequenza si ricongiunge alla ricerca che attraverso Meyerowitz, Chiaramonte, Calvino, Atget, “rivede” gli spazi aperti di Piero della Francesca e delle sue agorà ideali. Pippo Pappalardo
“Reset” di Sergio Carlesso e Nazzareno Berton di Romano d’Ezzelino (Vicenza),
Mai come oggi viviamo nell’ambigua dimensione della realtà virtuale, con una percezione di quanto ci circonda che può risultare alquanto superficiale ed affrettata; anche nelle nostre fotografie i luoghi vengono spesso solo “ripresi”, senza essere prima visti e soprattutto capiti.
RESET nasce dalla volontà di liberarsi di questo modo di essere, per ritrovare la magia del quotidiano e riscoprire un rapporto “rilassato” con la natura, riprendendo possesso dei luoghi, interrogandoli alla ricerca di una percezione o di uno stato d’animo. Il risultato è la scoperta di piccoli “colpi di scena”, di rivelazioni che si evidenziano a seguito di intuizioni rapide o di riflessioni prolungate, trasformando la normalità in un ambiente magico. Indagare questa realtà, rileggerla e modificarla diventa un modo di immedesimarsi in essa, fissando stati d’animo a fronte delle infinite metamorfosi del mondo che ci circonda. Ogni luogo ha vita propria, ha un’ essenza da scoprire: intervenirvi fisicamente, interferendo sui normali equilibri, permette di appartarsi ulteriormente dal mondo esteriore esaltando il coinvolgimento in storie silenziosamente presenti, anche se non immediatamente percepibili.
“Fratello mare” di Mario Barsocchi di Capannori
Il mare e la poesia di un grande poeta per stimolare pensieri e riflessioni; operazione necessaria ed indispensabile perché la Fotografia è un’operazione mentale prima che lavoro di descrizione di un qualsiasi oggetto. Le foto sono state scattate nel mese di Gennaio 2009 in Versilia.
“Sur le sable” di Maurizio Cintioli di Roma
Lo scenario la Bretagna, i protagonisti la gente, il palcoscenico la spiaggia. Spiagge popolate da un insieme di figure intente a vivere la loro quotidianità. Bambini che corrono, scavano buche, inventano castelli sotto gli occhi attenti dei loro genitori. Adulti che pensano, osservano, leggono o semplicemente sognano.
La serie “Sur le sable” avvicenda i suoi protagonisti con la ciclicità delle maree, in una atmosfera che invita lo spettatore ad una indagine introspettiva. Chi guarda si interroga sulla vita, sul trascorrere del tempo,sulla solitudine, temi cari all’autore che in ogni raccolta affronta con straordinaria sensibilità e raffinatezza. Cintioli da sempre osserva i suoi “attori” da lontano, in silenzio e riesce con efficace lucidità ad interpretare pregi e difetti del genere umano. Le sue opere sono affreschi della nostra società con le mille sfaccettature che la realtà offre. Un’analisi schietta e spietata che nulla nasconde. Tutto è offerto a chi guarda e questo certamente è il pregio maggiore delle immagini di questo autore dalla poetica di altri tempi. Alessandra Bassi
“Via Emilia” di Davide Grossi di Parma.
Il lavoro fotografico è stato voluto dal Centro Studi Citta Emilia e dal Festival dell’Architettura di Parma per la celebrazione della giornata della Via Emilia a 2000 ani dalla sua fondazione. Le fotografie sono frutto di una campagna fotografica di circa sei mesi lungo la Via Emilia nel tratto che va da Parma a Modena. Lo sguardo di tipo, new topographic, è rivolto a quei particolari che caratterizzano la Via Emilia come Via di comunicazione (distributori, strada, concessionari di automezzi) o come via di comunicazione (scuole, campi sportivi, chiese, negozi). Ho voluto enfatizzare il paesaggio naturale, il paesaggio antropizzato ed il paesaggio umano, elementi caratterizzanti del paesaggio Italiano contemporaneo. Davide Grossi
Mostra collettiva “Plurale,Singolare” a cura del Circolo Fotocine Garfagnana
Stefania Adami Careggine. Estate in Grande Forma, Gabriele Caproni La valle dei ragazzi, Pietro Guidugli Giovani e agricoltori, Simone Letari Modelle per un giorno, Giambattista Lucchesi Castelnuovo,Piazza Umberto I, Simona Lunatici Equilibrio, Gigi Lusini Dalle stalle alle stelle, Maria Magagnini Berlin, Irene Monterotti Mongolia 2010, Rossella Piccinini Giroscattando, Silvia Pieroni Angeli e neve, Tommaso Teora In coppia, Eva Turri Cambio di scena, Giuliana Valdrighi Sguardi.
Il Circolo Fotocine Garfagnana ha istituito nel 1999 il premio Rodolfo Pucci ”La fibula d’oro”, un premio da consegnare a chi nel mondo della fotografia, si è distinto ai livelli più alti nel favorire la “Fotografia-incontro con la gente”, l’evolversi dei rapporti umani attraverso il mezzo fotografico, il diffondere la cultura fotografica. Il premio nasce per riproporre negli anni i valori umani di Rodolfo Pucci, fondatore del Circolo e suo Presidente.
Hanno ricevuto il premio nel 1999 Giorgio Tani, nel 2000 Fosco Maraini, nel 2001 Roberto Evangelisti, nel 2002 Sergio Magni, nel 2003 Antonio D’Ambrosio, nel 2004 Nino Migliori, nel 2005 Francesco Cito, nel 2006 Letizia Battaglia, nel 2007 Uliano Lucas, nel 2008 Piergiorgio Branzi e nel 2009 Giovanni Chiaramonte.
Fotografo freelance, nasce a Fermo nel 1971. La sua carriera professionale inizia nel 1997, viaggiando e raccontando un’Italia turistica. Nel 2003, dopo un’interruzione di qualche anno, torna in attività avvicinandosi sempre più a tematiche sociali quali: immigrazione, Hiv, malaria, TBC, realizzando diversi reportage in Africa (Zambia, Kenia, Angola) in collaborazione con ONG nazionali e internazionali. Nel 2005 la sua attività continua in Argentina con un progetto fotografico sulle fasce deboli del Paese visitando sette province, dalla Patagonia australe alle montagne della Puna, prestando particolare attenzione alle periferie di Buenos Aires. Sono nati così i due lavori “Hotel Argentina”, vincitori del Portfolio Italia 2007, ed “Appuntamento al buio”. Tornato in Etiopia visita il St. Mary General Hospital di Dubbo, svolgendo una ricerca sulle cause e gli effetti della malaria cerebrale, pubblicato poi dal CUAMM-Medici con l’Africa e dalla Fondazione Produbbo Onlus. Nel 2008 pubblica un lavoro sulla condizione della donna nel Wolayta (Etiopia), affrontando anche il delicato tema delle mutilazioni genitali femminili, da cui nascerà il libro EVE (Damiani Editore, 2006). Realizza un lavoro “Falene”, presso una comunità di non vedenti a Soddo (Etiopia). La Comunità “Gruppo Famiglia di Porto San Giorgio gli commissiona un reportage sul reinserimento in società di ex pazienti manicomiali 28 anni dopo la legge 180. Nel 2007 ritorna in Argentina per studiare il fenomeno migratorio marchigiano per conto della Regione Marche e dal nuovo viaggio nasce la pubblicazione “ECHI” (Damiani Editore 2008). Nel 2008 si reca per tre mesi in Palestina affrontando un lavoro sullo stato di salute fisica e mentale della popolazione palestinese nella West Bank e striscia di Gaza per la Ong “Medicos del mundo” e le Nazioni Unite. Nel 2009 viene selezionato dalla rivista Courrier Japon assieme ad altri 131 fotografi per interpretare la speranza nel giorno di insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca. Dal progetto nasce la pubblicazione “This Day of Change” (Kodansha Limited 2009), la sua scelta è di recarsi in Albania dove realizza un progetto fotografico presso una comunità ROM nel centro di Tirana ed un dossier all’intero dell’Ospedale psichiatrico di Elbasan. Nel 2010 la Comunità di Capodarco gli commissiona un lavoro in Camerun sugli adolescenti ai margini e sulla difficile condizione sanitaria delle comunità nel sud del paese.
I nostri partner e sponsor:
Comune di Castelnuovo di Garfagnana
Provincia di Lucca
Comunità Montana della Garfagnana
Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca
F.I.A.F.
SONY Alfa
BCC Versilia Lunigiana e Garfagnana
Kareka srl – S.Croce sull’Arno
Ergon srl – Siena
Cipriano Costruzioni – Borgo a Mozzano
Pennacchi Inaco srl – Pieve Fosciana
Oreficeria Foli Giuseppe – Fornaci di Barga
AXA Assicurazioni – Lucca
Foto Pastrengo – Bagni di Lucca