Popoli in movimento. Oggi come ieri
E ci abbandoniamo al mare sopra una nave immaginaria che vada e vada senza posa, di là dalle ultime terre, per quell’immenso oceano. EDMONDO DE AMICIS, Sull’oceano, Milano 1889
La situazione politica e sociale dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Africa e Medio oriente in particolare, è all’origine di importanti flussi migratori che negli ultimi anni hanno interessato l’Italia, così come altre nazioni “ponte” fra paesi poveri e ricchi, facendola diventare una via di transito per moltitudini di persone in fuga dalla guerra e dalla miseria. Inutile negare che il fenomeno ha generato paura e diffidenza verso chi è diverso da noi per lingua, religione, abitudini. Questo esodo – perché di esodo si tratta- ha inoltre fatto sorgere preoccupazioni per il futuro, ingigantite dalla crisi economica, e dato vita ad atteggiamenti di rifiuto e intolleranza se non di violenza inaudita. Paure spesso non condivisibili, ma comprensibili.
Certamente la chiusura delle frontiere o la costruzioni di muri fisici o normativi non arginerà il flusso di questa marea di disperati disposti a tutto perché senza niente da perdere. La nostra società appare impreparata a gestire una situazione come questa tanto che il sentire comune oscilla da sentimenti di pietà ad altrettanto forti atteggiamenti di ostilità che questa invasione provoca al momento in cui viene a scontrarsi con la nostra cultura.
I movimenti dei popoli, fanno parte delle vicende storiche a livello mondiale, vuoi per le tradizioni nomadi di alcuni di questi, che per necessità impellenti, guerre, carestie, eventi naturali, all’origine di processi, in genere incontrollabili, di spostamenti verso luoghi ritenuti – spesso solo sognati- di benessere.
Un contributo importante per trovare una sorta di coscienza condivisa fra “noi” e “loro” può essere quello di voltarci indietro e cercare nella storia, anche quella relativamente recente, del nostro paese, situazioni analoghe a quanto succede oggi all’isola di Lampedusa, al centro di prima accoglienza di Pozzallo, o ancora, vicino a casa nostra, ai confini di Serbia, Ungheria, Grecia e Turchia.
Gli studiosi dell’emigrazione italiana sono soliti stabilire in 26 milioni il numero degli italiani che dal 1871 al 1971furono costretti a lasciare il nostro paese per cercare altrove migliori condizioni di vita. La data del 1971 non è casuale: in quell’anno, infatti, il flusso migratorio si interruppe o meglio cambiò direzione, si registra da allora l’inizio di un nuovo capitolo della storia italiana: da paese di emigrazione a paese d’immigrazione. Dal 2013 l’Italia, a causa della crisi economica, è di nuovo paese di emigrazione, soprattutto giovanile.
Oggi si ripropongono le situazioni di ieri: si leggono nelle belle e drammatiche fotografie come quelle di Francesco Malavolta, ma anche nelle immagini in bianco e nero sbiadite dal tempo, nei disegni acquerellati delle copertine dei giornali illustrati di fine Ottocento, nei resoconti di scrittori come Edmondo De Amicis.
I barconi stracarichi di disperati in mezzo al Mediterraneo di oggi, erano ieri gli affollati ponti di terza classe di bastimenti vecchi ed insicuri che attraversavano l’oceano; gli scafisti che guidano i gommoni erano i biechi reclutatori che cento anni fa indirizzavano gli emigranti a capitani di nave spregiudicati per traversate oceaniche spesso concluse in tragici naufragi; i caporali e i procacciatori di manodopera a basso costo, altro non sono che gli agenti del cosiddetto Patron System un’organizzazione criminale che “vendeva” gli emigranti appena sbarcati, quindi inesperti, a imprenditori senza scrupoli per lavori pericolosi e sottopagati.
I paragoni sono infiniti, gli esiti, spesso tragici, i medesimi. Ammassati sulle banchine dei porti con fagotti e bambini piangenti, nelle maleodoranti ed affollate camerate di terza classe dei bastimenti, alle frontiere, alla mercé di individui senza scrupoli, c’erano i nostri nonni. Uomini che con molto coraggio lasciarono tutto alla ricerca di un destino migliore per sé e per i figli.
Molti di questi, i più sfortunati, sono scomparsi nella vastità dei nuovi paesi, altri non sono tornati ma hanno realizzato il loro sogno raggiungendo nelle nuove nazioni posizioni sociali ed economiche di rilievo, altri ancora, sentendo forte il legame con la terra di origine, sono rientrati e con il frutto del loro lavoro hanno intrapreso attività economiche e contribuito alla crescita del nostro paese.
Alla luce della storia di ieri si possono cercare di leggere con occhi diversi le migrazioni di oggi.
Pietro Luigi Biagioni
Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana